La campana di vetro

La campana di vetro è il romanzo fortemente autobiografico dell’autrice statunitense Sylvia Plath, pubblicato per la prima volta nel 1963, usando lo pseudonimo di Victoria Lucas.

La Plath nasce a Boston nel 1932 e già dall’infanzia dimostra di avere talento per la scrittura di racconti e poesie. Prova a vincere concorsi e a farsi spazio sulle testate giornalistiche ma purtroppo raggiunge un successo marginale. La sua salute mentale inizia a declinare dopo la morte del padre,Otto Emil Plath, e durante il penultimo anno allo Smith College la sua depressione la porta a tentare di togliersi la vita. In seguito viene ricoverata in diversi ospedali psichiatrici e, appena ne esce, consegue la laurea con lode nel 1955. Nello stesso periodo ottiene una borsa di studio per Cambridge dove incontra Ted Hughes, che sposa e con cui ha due figli: Frieda e Nicholas. In quel periodo pubblica la raccolta di poesie: “Ariel” e anche la sua opera più famosa: “La campana di vetro”. Solo un mese dopo la pubblicazione del romanzo, la giovane Sylvia si toglie la vita e nel 1982 diventa la prima poetessa a vincere il Premio Pulitzer per la poesia dopo la morte.

La campana di vetro è un viaggio che non punta tutto sulla trama o su colpi di scena, ma sul viaggio nella mente e della malattia dell’alter ego della Plath, Esther, una brillante studentessa che si trova inizialmente a New York per fare uno stage per una rivista di moda. Si accorge però che qualcosa dentro di lei non va, si è rotto: non dorme, non riesce più a scrivere e non capisce quale possa essere il suo percorso di vita. Il problema della giovane è l’essere dilaniata nello scegliere uno tra i suoi due eventuali futuri. La prima opzione sarebbe diventare una scrittrice famosa, una poetessa ribelle e un’anticonformista, andando contro gli ideali patriarcali della società maccarstista degli anni cinquanta. La seconda diventare una madre, una mogliettina ideale, che cucina uova e pancake a colazione e si preoccupa dei figli e della casa da mattina e sera. 

Quest’idea è resa nel romanzo magistralmente con l’analogia del fico: ti trovi davanti ad un albero di fico e ogni frutto rappresenta un possibile scenario futuro. Però sei indeciso e non sai quale frutto cogliere, ed ecco la cattiva notizia: nel frattempo i fichi stanno marcendo e poi non ne potrai più mangiare nessuno.

Tornando ad Esther la giovane viene ricoverata in diversi ospedali psichiatrici dove è costretta a subire la pratica dell’elettroshock, su cui la Plath si sofferma nel romanzo, paragonandola alla morte per sedia elettrica e descrivendola come la cosa peggiore che possa esistere.

Negli ultimi capitoli del romanzo seguiamo il percorso di guarigione di Esther e l’ultimo evento traumatico di questa parte della sua vita ovvero la morte dell’amica Joan, che segnerà un confine che la protagonista riuscirà a superare sia fisicamente che metaforicamente.

La campana di vetro rappresenta la società spietata, costituita da individui che provano brutalmente a proteggerla, finendo per togliere l’aria alla giovane Esther, a poco a poco.


Angela Cattaneo 2DL