L’odissea di tutti noi: una recensione di “2001: Odissea nello spazio”

A cura di Sasha Dell’Orto 5AL

L’Odissea di Omero è un poema epico che narra di un eroe di nome Odisseo che percorre un viaggio turbolento verso la sua isola natale. Questo viaggio porta morte e amore, è pieno di pericoli ma, aiutato dagli dei, Odisseo riesce finalmente a tornare a casa da sua moglie. È per questo viaggio avventuroso compiuto da un re greco dopo la guerra di Troia che oggi si usa il termine “odissea” per indicare un viaggio pieno di avventura e in balia della sorte. Un’odissea è qualcosa di grandioso che ha uno scopo oltre la destinazione; una spedizione, un rimpatrio, un percorso emotivo: tutti questi se abbastanza turbolenti evocano un’esperienza catartica che sta al cuore di ciò che intendiamo con “odissea”. Si potrebbe sostenere che la vita stessa è un’odissea verso la morte. L’odissea dell’uomo è iniziata migliaia di anni fa e in un unico, bellissimo, taglio mentre un osso cade dal cielo, un razzo lo sostituisce, passano migliaia di anni in una frazione di secondo e arriviamo a vederne la fine.

Così quando nei primi istanti del film vediamo “2001: Odissea nello spazio” non possiamo che pensare e aspettarci una storia ricca di pericoli e azione, sempre al limite, di cui non è mai chiara la destinazione; quello che invece otteniamo è un film che coglie l’essenza stessa dello “spazio”: il suo vuoto, la sua solitudine e il suo spettacolo. La musica classica ci accompagna mentre attracchiamo lentamente in uno spazioporto o viaggiamo tra pianeti, un senso di stupore per le meraviglie che ci ha portato la tecnologia non ci lascia mai. Il tema calmo e riposato si protrae per tutto il film, alcune scene arrivano addirittura a essere essenzialmente degli spaccati di vita futuristica, la narrazione viene portata avanti in modo lento, ma intrigante, aumentando costantemente la posta in gioco con cui lavorano i personaggi. Il mare di tranquillità in cui è annegato il film rende le scene con il coro psichedelico, i tagli veloci o le alte poste in gioco molto più efficaci: questi sono i momenti attorno a cui ruota il film e così, abbassando l’intensità generale invece di aumentarla in alcuni momenti, viene data rilevanza ad eventi minori che altrimenti sarebbero passati inosservati.

A volte bisogna chiedersi cosa un film poteva essere per capire quello che è diventato. Mi chiedo, quindi, perché Arthur C. Clarke e Stanley Kubrick abbiano deciso di includere i primi venti minuti del film (interamente dedicati a un’età preistorica) o la successiva storia del dottor Floyd. Certo, sono entrambe storie che, in un modo o nell’altro, portano a quella di David e HAL (indubbiamente la principale), ma non è immediata o necessaria la connessione. La risposta che mi do è che questo non e’ un’antologia di una o due storie vagamente legate, ma sul genere umano in generale. In virtù di questo ampio scopo si può meglio comprendere quelle che magari erano le intenzioni degli sceneggiatori.

I personaggi sono pochi e vivono in tempi distinti, ognuno protagonista della propria fetta di storia, tutti parte di un quadro più ampio. Sarebbe sbagliato, però, dire che questo film ha uno o più protagonisti: la storia che seguiamo è più quella dell’umanità e delle sue conquiste piuttosto che quella di un singolo uomo contro l’ignoto. Da Floyd a David abbiamo personaggi che mancano di personalità: questo non è un difetto, è voluto. Non si può portare l’onere di rappresentare l’umanità pur mantenendo la propria. Per questo ci vengono dati come segnaposto delle emozioni da Floyd una breve conversazione con sua figlia e da David alcuni schizzi su un foglio; questi sono brevi momenti di introspezione che ci permettono di definire i personaggi non come persone ma come ambasciatori per il genere umano, un promemoria di ciò che rappresentano e vogliono comunicare. Portano la bandiera dell’umanità e quindi non possono essere umani.

Dall’inizio alla fine l’uomo è stato in viaggio verso il Monumento: sulla Luna, su Giove, nella stanza e infine a casa. Un’entità al di là di noi che guida la nostra innovazione fin dal primo utilizzo degli strumenti. Alieni? Dio? Destino? Penso che questo dipenda da voi. Quello che per me è innegabile è che l’odissea, il grande viaggio compiuto da David proprio come Ulisse prima di lui, non è quello di un uomo che parte per ritrovare se stesso o cercare una risposta, ma piuttosto il viaggio della natura umana per trovare la strada di casa, per completare il viaggio che ha iniziato molti molti anni fa con il primo uso di tecnologia.

Il film combina la grande storia del genere umano con l’enorme vastità della natura in cui esso vive. L’umanità dei personaggi è stilizzata finché non contrapposta alla freddezza delle macchine. La tecnologia emerge come strumento necessario al raggiungimento di uno scopo che trascende qualsiasi realtà. Più la storia si volge al termine più l’odissea umana abbandona qualsiasi aggancio con il tangibile. Il film in molti modi ci obbliga a chiederci quale sia il nostro ruolo nel sistema-mondo in quanto esseri viventi e se sia veramente un nostro obbligo avanzare degli scopi materiali. Alla fine una domanda che sorge naturale è cosa sia per noi “casa”, ovvero a quale stato naturale dovremmo tornare finito il nostro viaggio. Per Odisseo la risposta era semplice, mentre a noi David, Floyd e HAL chiedono di decidere una destinazione prima ancora di intraprendere il viaggio.