L’equazione umana non ha soluzioni

a cura di Sasha Dell’orto, 5^AL

Tutte le teorie scientifiche e fisiche sono nate da qualche strano errore di combinazione, oppure da un uomo che cercava una cura per un altro uomo.

Anita Londero, 5AL

I bambini, nella loro infinita esplorazione del mondo, hanno la tendenza a fare una domanda, spesso ripetutamente: perché? 

Una domanda dal potenziale infinito, senza confini, e per questo un’arma che inevitabilmente porta i genitori a crollare sotto la loro ignoranza. Il sentimento che esiste dietro a un “perché?” è di pura curiosità e raramente, da adulti, ci troviamo a sentirne la gravità. I bambini ci sembrano ingenui nel loro voler comprendere il mondo: se non lo capiamo noi, non dovrebbero averne diritto nemmeno loro. Da adulti la curiosità ci perseguita. Il genere umano ha sviluppato religioni, filosofie e scienze per dare spiegazioni sempre più convincenti a domande apparentemente semplici. In una maniera molto concreta il mondo non sarebbe quello che è oggi se non fosse per un qualche sentimento di curiosità giovanile che vive in tutto quello che facciamo. 

Fuori. A navigare i misteri del mondo è la scienza: un efficace strumento a disposizione della curiosità umana. Questa comprende rami distanti e contraddittori, dalla medicina alla matematica, che però vengono unificati dal metodo. Laddove la sostanza è diversa, la forma è uguale. Sia il dottore che il matematico non osano proclamare una sentenza senza aver chiesto parere a teorie passate, calcoli complessi e altri esperti. Questo sistema di ingranaggi dà risposte distanti dalla realtà quotidiana, sono specifiche, incomprensibili alla nostra curiosità fanciullesca e ultimamente destinate ad alimentare la scienza stessa. Ciò nonostante tutti possono rispondere alle domande che le si pongono (con adeguate lauree e specializzazioni). Nessuno mette in dubbio la sua capacità di spiegare.

Dentro. Rimangono però ancora dei “perché?” sulla natura umana che rimangono senza risposta. Esiste una sfera della vita e della società dedicata a queste domande che sembra impossibile decifrare: l’arte (che in parte comprende altre discipline che indagano lo spirito come la religione e la filosofia che già nel Medioevo erano una sola). La critica certamente può spremere un’opera fino all’ultima metafora, ma mai potrà capirne il motivo. Come un detective che indaga un omicidio ci troviamo ad accettare che è avvenuto e a rassegnarci di non poter entrare nella mente del killer: dell’artista. In fondo, credo che anche l’artista avrebbe difficoltà a giustificare la sua opera. Possiamo trovare le cause storiche, culturali o politiche che hanno spinto qualcuno a creare qualcosa, ma poi io vi chiederei perché lui e non qualcun’altro? non esiste criterio all’arte. Questa sembra destinata a tutti o a pochissimi, sembra indecifrabile e allo stesso tempo piena di significato, è il simbolo di un’epoca e al contempo di un artista. Non esiste formula che scavi nella psicologia umana per spiegarne la creatività. Un pittore o un poeta non sottostanno a niente e nessuno prima di creare arte. Mentre la scienza, come abbiamo detto, indaga ambiti diversi con uno stesso metodo; l’arte riesce a penetrare differenze formali per giungere a un’unica sostanza. L’una riesce a fare appello solo alla razionalità, l’altra alla sola irrazionalità.

L’artista. All’arte è stato chiesto di rispondere a “perché?” di carattere esistenziale, sentimentale e sociale; forse anche più importanti di quelli chiesti alla scienza. Laddove quest’ultima indaga la natura e il suo operare, l’arte si è arrogata il sentimento. Ma risponde senza certezze. L’artista ci dice cosa significa “essere umani”, ma non può dirci perché sia così o perché lui ha ragione. E’ preda della sua umanità nel cercare di porre le fondamenta di una filosofia, ma in qualche modo misterioso riesce a rispondere. Trovo questa nebbia che avvolge il processo artistico tremendamente frustrante, come se mi fosse precluso qualcosa che è mio di diritto. In fondo, se posso derivare le stesse equazioni scritte da Einstein, perché non posso scrivere una stessa poesia di Leopardi?

Uscire ed Entrare. Il confronto tra scienza e arte ci lascia quindi con una certa amarezza. Sentiamo di dover trovare una spiegazione: forse è un paragone iniquo, forse se avessimo chiesto alla scienza di rispondere alle domande dell’arte sarebbe crollata a pezzi o forse i “perché?” della fisica non sono paragonabili ai “perché?” della poesia. Nulla di questo è vero: non esiste una gerarchia dei “perché?” o una partizione del reale; al bambino che chiede perché si muore prima si risponde con la scienza e poi – messi in scacco da continui “perché?” – necessariamente con l’arte (o meglio, la religione). E’ un’amarezza che si manifesta a volte come un’arte che vuole spiegare la natura e a volte come una scienza che vuole descrivere la vita. Da essa nascono Individui che leggono dimostrazioni come dipinti e poesie come equazioni. Deriva dalla rigidità di un’istruzione che non lascia spazio all’interpretazione personale dell’arte o all’apprezzamento filosofico della fisica; da una società che pone barriere sostanziali tra licei classici e scientifici. Da qui  la volontà di unificare la curiosità umana. Da qui voler capire Leopardi e sentire Einstein.

Un trucco di magia. E nonostante la mia smisurata fiducia nella scienza, nella sua capacità di conquistare tutto, non riesco a immaginare un’arte che non sia ineffabile. Sembra quasi che un’opera che sa spiegare se stessa non è più arte. Contrapposto al desiderio di capire il processo artistico trovo sempre la consapevolezza irrazionale che rivelare le illusioni della penna e del pennello sarebbe catastrofico. Mentre voler unire la curiosità è un desiderio logico, la consapevolezza che tale unione sarebbe il disintegrarsi di fragili pilastri spirituali nasce da un istinto di preservazione. Anch’io mi trovo preda della mia umanità. Voglio credere nelle illusioni dell’arte, ma le voglio anche capire a fondo; purtroppo qualsiasi trucco di magia richiede che il mago non riveli mai i suoi segreti. I bambini meritano di essere meravigliati. Trovo consolazione nella citazione messa a inizio articolo: l’essere umano è prima istinto e poi razionalità.