La Donna e l’Arte

A cura di Sofia Ravetta, 5AL

In questa relazione mi propongo di approfondire il rapporto donne-arte, attraverso quattro opere che ne evidenziano alcuni aspetti: e’ infatti impossibile definire il ruolo femminile rispetto al mondo dell’arte in maniera univoca. 

Donna come soggetto-oggetto 

Spesso gli uomini rendono la donna soggetto della loro arte: alcuni lo fanno conferendole importanza e sottolineando la necessità della presenza femminile nella vita dell’uomo. In alcune opere, anche di artisti uomini, viene denunciata la condizione femminile, universalmente riconosciuta come oppressa e inferiore rispetto alla figura maschile fino alla metà dell’Ottocento: scrittori, poeti e artisti hanno usato la figura femminile per descrivere fenomeni storici; non fanno eccezione la letteratura e l’arte russa in cui le donne sono il diapason che delinea l’atmosfera etica ed estetica delle diverse epoche. La Russia è un ottimo esempio di società in cui il ruolo della donna era contraddittorio, nel complesso generale, ma anche e soprattutto nell’arte: le prime due opere analizzate fanno parte della mostra “DIVINE AVANGUARDIE” (28.10.2020-19.09.2021) esposta a Palazzo Reale. 

L’arte come specchio della dura realtà: La presentazione della promessa sposa

● Autore: Gregorio Mjasoedov (1834-1911) 

● Seconda metà del XIX secolo 

● Olio su tela 

● State Russian Museum, St. Petersburg 

L’opera rappresenta un momento della preparazione rituale russa della sposa per il matrimonio: questa, nuda e in piedi nel salone della casa del fidanzato, viene osservata scrupolosamente dai futuri parenti. Sedute davanti a lei ad analizzarla sono proprio le donne della famiglia del fidanzato, vestite con tradizionali abiti da festa: sarafan, camicie e kokoskini. La futura sposa al centro è illuminata da una forte luce proveniente dalla finestra posta alle spalle del divano su cui sono accomodate le signore della famiglia dello sposo: dietro di sè tiene in mano il vestito rimosso ai fini dell’osservazione, pronta a rivestirsi per mettere fine all’umiliante procedura. 

Lo studio della vita dei contadini portò l’artista a dipingere soggetti che narrano le tradizioni e i rituali russi. L’autore rappresenta una delle rigide norme patriarcali alle quali le donne in Russia sono state sottoposte fino all’inizio del XX secolo: queste erano basate sul rispetto dei più anziani, e in particolare degli uomini, e alla più rigorosa purezza fino al matrimonio. Si 

tratta quindi di un’opera di denuncia sociale; dopo la rivoluzione del 1917, quando le donne ottengono parità dei diritti con gli uomini, gli artisti avranno modo di raffigurare quelle che prima erano mogli sottomesse e donne sfruttate, trasformandole in eroine sovietiche. I pittori realisti hanno raccontato le difficili circostanze della vita delle donne, come il matrimonio forzato concluso non per amore ma allo scopo di garantire un certo benessere alla famiglia di origine, che e’ un tema al centro anche di molte opere letterarie (Anna Karenina di Lev Tolstoj, La dama con il cagnolino di Anton Cechov). Anche da qui parti’ la battaglia delle donne russe per ottenere diritti pari agli uomini.

L’arte come espressione di amore e rispetto: Lillà 

● Boris Kustodiev (1878-1927)

● 1906 

● Olio su tela 

● State Russian Museum, St. Petersburg 

Il quadro è stato dipinto nella tenuta Pavloskoe, dove in estate viveva la famiglia di Kustodiev. A essere raffigurate sono la moglie dell’autore, Julija, e la neonata figlia Irina: la giovane donna, ritratta con amore e passionalità dall’artista, tiene in braccio la bambina baciandola sulla tempia. Ad accompagnare le due protagoniste è la casa di famiglia, sullo sfondo, illuminata dal sole, e una grande pianta di lillà in fiore. A riprendere il bianco dei vestiti di madre e figlia sono quattro fiori di un’ulteriore pianta del giardino. 

Le linee morbide delle figure e le alte vibrazioni di colore creano un’atmosfera di festa elegante, mentre l’aspetto dell’amata si trasforma nell’immagine poetica della donna-madre legata al mondo naturale che sta sbocciando rigoglioso. 

Quello della maternità è un tema largamente affrontato e amato dagli artisti di tutte le epoche. L’artista sceglie di caricare di gioia la rappresentazione della donna amata: una scena serena, libera del tormento e dei turbamenti propri della condizione femminile russa del primo XX secolo. 

L’opera, attraverso il tema della maternità, rivela uno dei volti più affettuosi della storia dell’arte russa e delle rappresentazioni femminili ad essa legate.

Donna come autrice emancipata 

Sin dall’antichità l’arte ci ha abituato a concepire le donne soprattutto nelle vesti di muse ispiratrici, oggetto della rappresentazione. Eppure le donne sono state creatrici, nonostante la storia e la critica non di rado si siano disinteressate a loro, lasciandole sovente nell’ombra, oscurate dai più famosi colleghi maschi. 

Alcune artiste hanno realizzato opere grazie alle quali la loro sensibilità artistica, il loro talento e la loro capacità vengono riconosciuti, e che costituiscono una tappa importante dell’emancipazione femminile. 

La prima donna-artista che segna un momento di rottura rispetto al passato, e anche a certi pregiudizi di genere, fu Artemisia Gentileschi: di scuola caravaggesca, nata a Roma nel 1593, conosciuta come la piu’ grande “pittora” del Seicento, e’ figura emblematica, discussa, prima 

donna a essere ammessa alla Accademia di Arte del disegno a Firenze. La sua biografia tumultuosa, peculiarita’ di molte menti geniali, con la nota vicenda dello stupro e del processo, e’ un atto di ribellione, di coraggio, un manifesto di emancipazione diventato simbolo del femminismo, della lotta contro i soprusi e le prevaricazioni di genere anche per le generazioni successive. 

Rispetto al suo tempo, Artemisia Gentileschi e’ artista e donna precorritrice, ma non e’ stata di certo l’unica a lasciare il segno. 

Tra il ‘500 e il ‘600 nobildonne, monache, figlie, sorelle o mogli di artisti affermati conquistano la scena artistica e le corti europee, fino a essere ammesse per fama riconosciuta nelle Accademie piu’ prestigiose: ognuna delle loro vite e’ un racconto avvincente, che parla di viaggi attraverso l’Europa o di lunghe clausure, di percorsi interrotti precocemente o di vite quasi centenarie, di produzioni artistiche prolifiche o limitate, di comportamenti trasgressivi o condotte morigerati; e’ il caso di Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana, Fede Galizia, Marietta Robusti, Elisabetta Marchioni, Plautilla Bricci. 

Le storie di queste donne offrono una lettura che rompe gli stereotipi, oltre a mettere in discussione i modelli di comportamento. Sono donne che hanno sfidato i pregiudizi, destrutturato i cliche’ che aleggiano intorno all’universo femminile, trovando nella pittura e nell’arte il loro mezzo di espressione.

Arte come espressione femminile: Paliotto per la Santissima Eucaristia 

● Elisabetta Marchioni (XVII secolo) 

● Fine XVII secolo 

● Olio su tela 

● Pinacoteca dell’Accademia dei concordi, Rovigo 

In una disposizione longitudinale, ordinata e simmetrica rispetto all’asse ordinata e simmetrica rispetto all’asse centrale del quadro (costituito dall’Ostensorio dorato), si trovano tre vasi traboccanti di fiori e al centro due angioletti. I vasi sono rappresentati con delicato realismo, accompagnato da un lieve contrasto chiaroscurale che delinea le decorazioni scolpite. La resa di fiori e piante continua la ricerca di realismo tipica del genere della natura morta, donando al quadro punte di colore e un’ambientazione delicata e quasi idilliaca. 

L’Ostensorio in posizione centrale costituisce anche la fonte di luce della scena, irradiando gli elementi circostanti di delicati e pallidi raggi luminosi. 

La delicatezza dei tratti dei due angioletti e della resa floreale, la quale conferisce alla rappresentazione una qualità quasi intima, rimanda all’animo dolce e materno della donna; i toni dell’arancione e del rosa che dominano la composizione, in contrasto con le ombre dell’estremità, ne accentuano la semplice eleganza. 

Di Elisabetta Marchioni sono sconosciuti sia l’anno di nascita che quello di morte, che lo storico Francesco Bartoli (1793) fissava: “circa il 1700”: un’esistenza vissuta in contemporaneità con quella della più celebre Margherita Caffi. Bartoli la ricorda come “celebre pittrice di fiori” e “moglie di Sante Marchioni, orefice di professione”. Il Paliotto per la Santissima Eucarestia fu donato personalmente dalla pittrice alla chiesa dei cappuccini di Rovigo, verosimilmente sul finire della sua carriera. Lo ricorda sempre Bartoli con queste parole: “giunse in età vecchia; e lasciò a’ P.P. Cappuccini un Paliotto, che vedesi esposto all’Altare maggiore in varie funzioni, e vi dipinse nel mezzo due Angioletti che sostengono l’Ostensorio”.

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