La Costituzione e il sistema politico italiano

Nel 1946, a seguito di una Seconda Guerra Mondiale dalla quale l’Italia ne uscì liberata ma inevitabilmente sconfitta, il popolo italiano scelse, in un referendum istituzionale a suffragio universale, la repubblica. Il 75% dell’elettorato si riconduceva a tre principali partiti, la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista Italiano e il Partito Comunista Italiano, che presero parte all’Assemblea Costituente, che in un anno e mezzo redisse una nuova costituzione per la neonata repubblica.

La Costituzione Italiana è rigida, cioè posta ad un livello superiore rispetto a qualunque altra legge che si deve invece adeguare ad essa. Ciò fu deciso in contrasto con la caratteristica del precedente Statuto Albertino di essere flessibile e quindi di possedere la stessa forza giuridica delle leggi ordinarie che potevano interagire con esso e spiegano il motivo per cui, sotto le varie fasi storiche del Regno d’Italia, poté essere adattato in base alle decisioni del governo. Si voleva quindi evitare il rischio di una nuova degenerazione in senso antidemocratico come avvenne durante il fascismo.

La Costituzione è anche lunga, cioè non si limita a prevedere la struttura e l’ordinamento dello Stato ma regola anche i diritti dei cittadini. È composta da 139 articoli e 18 disposizioni transitorie e si può suddividere in due parti principali: la prima contiene diritti e doveri dei cittadini mentre la seconda regola lo Stato, la sua formazione giuridica e anche le procedure per modificarla. In essa sono contenuti i valori fondanti della storia repubblicana ed è una costituzione moderna che guarda al futuro stabilendo diritti, libertà di parola, di espressione e i doveri dei cittadini.

I principi sanciti dalla Carta sono frutto della maturazione di quegli stessi ideali di libertà e democrazia teorizzati durante l’Illuminismo e messi, formalmente, in pratica con la Rivoluzione francese (fu infatti nel Termidoro del 1795 che vennero stabiliti, oltre ai già prescelti diritti, anche i doveri dei cittadini). I poteri sono infatti divisi, come aveva per primo teorizzato Montesquieu nel Settecento, e sono tre: potere legislativo (di competenza del parlamento), esecutivo (del governo) e giudiziario (della magistratura). In egual misura, in Italia vige un sistema parlamentare a tre piani dove il popolo elegge un parlamento (democrazia rappresentativa o parlamentare) che ha il compito di formare un governo.

La Costituzione repubblicana regge il sistema politico italiano da 74 anni. Il suo primo cinquantennio è caratterizzato da una situazione generalmente favorevole. Si verificarono, infatti, 30 anni di sviluppo economico straordinario (1945-1975) e la formula elettorale (la tecnica con la quale i voti si traducono in seggi) rimase stabile grazie anche alla stabilità politica garantita da una percentuale di elettori votanti che raggiunse il 93% per poi attestarsi al 73%. A ciò si aggiunse il fatto che il numero degli iscritti ai partiti principali era decisamente maggiore rispetto ai giorni nostri (DC con PCI e PSI registravano un totale di 4 milioni di persone mentre oggi il totale degli iscritti ai vari partiti non raggiunge 700 mila unità). I governi erano di coalizione ma, in 50 anni, rimase sempre al governo un partito maggioritario, la Democrazia Cristiana. Questa tendenza, comune anche al Giappone, rende la democrazia italiana un caso estremamente interessante di come intere fasce della popolazione tramandavano l’orientamento politico del voto di padre in figlio. In questa prima fase della storia repubblicana si sviluppa il welfare state, cioè uno stato che interviene per garantire l’assistenza e il benessere dei cittadini, che portò a miglioramenti importanti come la scuola media unica (nel 1963 con l’abolizione della scuola di avviamento professionale) e l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale (nel 1978 con l’estensione delle prestazioni sanitarie a tutta la popolazione). In questo periodo avvennero anche cambiamenti graduali in Europa: da una Comunità Economica Europea si passò alla Comunità Europea, con intenti comuni anche sul piano politico. Nel secondo periodo, dagli anni 90, l’Italia entrò in una fase di non-crescita economica con conseguente instabilità politica e della formula elettorale. A causa della diminuzione del numero di votanti (anche a seguito della delusione provocata da scelte politiche non apprezzate) e di iscritti ai partiti, si verifica un’alternanza tra orientazioni politiche differenti dei partiti di governo. Verso la fine del secolo scorso l’Europa divenne Unione Europea (nella quale l’Italia fa ancora parte come paese fondatore) che diverrà una tra le più potenti entità politiche globali con un totale di 27 stati membri e una popolazione di 440 milioni di abitanti (più di Stati Uniti e Russia).

Tornando ai tempi più recenti, dal 2018 al 2022 si è verificato un rimbalzo in basso della partecipazione politica dei cittadini italiani (dal 73% si passa al 63%). Va però considerato che l’instabilità politica italiana non è un fenomeno recente: in 74 anni l’Italia ha visto susseguirsi 68 governi mentre la vicina Germania solo 26 e 9 cancellieri. Oggi, per tentare di raggiungere una maggiore stabilità, è stato proposto un ordinamento repubblicano di tipo presidenziale nel quale il presidente è direttamente eletto dai cittadini. Vi sono, nel mondo, diversi esempi di questo tipo di sistema. Negli Stati Uniti, il presidente, anche se eletto dal popolo, può solo proporre una legge al parlamento e non può interferire con esso. Nel sistema francese, il governo è nominato dal presidente ma può comunque avere la sfiducia dal parlamento. In Italia, invece, la figura del Presidente del Consiglio ha manifestato un problema quasi fisiologico nel mantenere la carica per tutto il mandato ma una sorta di sistema presidenziale lo si può già vedere nell’ordinamento dei comuni e delle regioni.  

Secondo l’Istat (Istituto Nazionale di Statistica) la partecipazione politica attiva riguarda solo l’8% degli italiani con più di 14 anni mentre la partecipazione passiva riguarda il 70% di questi ultimi e la partecipazione sociale è tre volte quella politica. Questo fenomeno non riguarda solo l’Italia ma è ormai comune nella maggior parte dei paesi avanzati, occorre, quindi, che l’offerta politica sia più attrattiva per i cittadini. In questo ambito, si può affermare che l’Unione Europea “vive di crisi”, infatti, con l’avvento del Covid-19, essa ha occupato una posizione di primo piano nella acquisizione dei nuovi vaccini per i paesi membri, che hanno quindi ottenuto la priorità di consegna da parte delle case farmaceutiche. La pandemia ha evidenziato le lacune del servizio sanitario e scolastico italiano ma nessun partito ha proposto miglioramenti significativi, contribuendo al generale senso di smarrimento e rassegnazione delle persone, che hanno progressivamente perso la fiducia nelle istituzioni politiche.

Per il mantenimento di una solida democrazia è quindi divenuto necessario un atteggiamento più attento da parte della politica nell’ascolto dei problemi dei cittadini. L’Italia è vittima di una ormai lunga fase stagnante la quale, lentamente, sta logorando il tessuto sociale ed economico del paese che necessita quindi di una classe dirigente più capace ed efficace nel risolvere, almeno in parte, le decennali questioni nazionali. Grazie alla sua Costituzione, lo stato italiano può vantare un ordinamento ben stabilito ed organizzato; tuttavia, esso necessità un costante aggiornamento, in linea con l’avvento dei grandi cambiamenti che stiamo attraversando e che incontreremo.  

Giulio Berti 5AL