Jojo Rabbit

A cura di Nora Corti, 2^AL

Avete presente quei pomeriggi di domenica in cui non hai scuse per svincolarti dall’invito dei tuoi genitori di vedere un film insieme? Era proprio così anche a casa mia quando i miei mi hanno proposto di vedere „Jojo Rabbit”. All’idea di vedere un film sulla guerra e sull’olocausto avrei voluto correre via e uscire di casa ma poi ho deciso di dare una possibilità al film. 

Devo ammettere di aver fatto la scelta giusta. I 108 minuti del film si alternano tra momenti di risate e silenzi pesanti dovuti al contesto che fa da sfondo alle vicende, ovvero la seconda guerra mondiale e l’olocausto. Il protagonista della storia è Jojo Betzler, un ragazzino di 10 anni che vive da solo con sua madre – interpretata dall’Avanger Scarlett Johansson – nella Germania nazista, mentre il padre è disperso sul fronte orientale. Jojo è devoto alla Gioventú hitleriana, la sua cameretta è tappezzata dal poster di Adolf Hitler, che è anche il suo amico immaginario. Il Führer, un po’ in sostituzione del padre, lo accompagna ovunque, giocano insieme, si confrontano su vari argomenti della vita di Jojo. Il temuto capo del Terzo Reich nel film dà suggerimenti riguardo alla scuola, alle attività extra scolastiche ma anche alle ragazze. Jojo è dunque un perfetto membro della Germania del 1945 finché non incontra una ragazza ebrea, Elsa, con cui inizia a fare amicizia e soprattutto comincia a mettere in discussione tutto ciò che fino a quel momento gli è stato insegnato sul mondo. Elsa inizialmente racconta storie fantascientifiche della cultura ebraica, di mostri ed esseri fatati, di luoghi misteriosi dove gli ebrei sono soliti a vivere. Poco per volta Jojo però capisce che Elsa, nonostante la sua religione tanto odiata dai nazisti, non ha nulla di diverso da lui, anzi, è proprio una ragazza di cui innamorarsi. 

Il film ti prende dopo pochi minuti. Jojo (Roman Griffin Davis) è davvero un personaggio che non si può non prendere in simpatia, un po’ come quei ragazzi che senza sforzo riescono ad essere amici di tutti. Il mio personaggio preferito però è il capo del campus della Gioventù hitleriana, il capitano Klenzendorf. In lui si intravede la delusione nei confronti delle idee naziste che combatte con il senso di dovere degli adulti. Il capitano, nonostante il suo alto rango, deve stare molto attento a non rivelare il suo vero essere poiché potrebbe metterlo nei guai, oltre all’amore per il suo vice. Il capitano, come il folletto buono delle favole, riesce ad apparire sempre nei momenti migliori e salva Jojo in diverse occasioni. Personalmente, ho adorato la scena in cui il capitano Klanzendorf ed il suo vice, con il loro anticonformismo, si presentano sulle barricate nella battaglia finale con la divisa della SS modificata da loro, con nastri, stringhe e piume colorati e tanto di trucco in viso come due drag queen di Rupaul, pronte per calcare le scene più spettacolari. 

Jojo Rabbit è uscito nelle sale cinematografiche nel 2019 e presenta il nazismo in modo rovesciato, differente dagli altri classici film che lo trattano. Una scelta simile si è vista in “La Vita è bella” di Roberto Benigni, dove il campo di concentramento viene descritto da un padre per tranquillizzare suo figlio come un luogo in cui si partecipa ad un gioco a premi ed il vincitore ottiene un vero carro armato. Ma tornando a Jojo, il ragazzino biondo con gli occhi azzurri, vive in un paesino colmo di case colorate ed è circondato da un bosco rigoglioso, la gente del luogo si veste con i vestiti folkloristici, nelle abitazioni le carte da parati sono sgargianti e i bambini sono amati e fanno sempre qualcosa di divertente. Tutto, all’apparenza, è da sogno; poi, come un brutto risveglio, a Jojo viene chiesto di uccidere un coniglio per dimostrare di essere all’altezza del regime hitleriano, mentre nella scena successiva gli allegri bambini tedeschi sono costretti a giocare con le granate. Ed è allora che ci rendiamo conto che ogni medaglia ha due lati. Ciò che è bello e divertente per una persona potrebbe essere una condanna a morte per qualcun altro, perché fuori dallo schermo i regimi e le ideologie estremi portano a una vita rosa e fiori da un lato e campi di concentramento e impiccati in piazza dall’altro. 

Il film a dir poco è particolare e non è da meravigliarsi che abbia vinto un Oscar per la migliore sceneggiatura non originale e anche un riconoscimento al British Film Awards. La sceneggiatura del film è tratta liberamente dal romanzo del 2004 di Christine Leunens “Il cielo in gabbia” (Caging Skies) e la regia è curata da Taika Waititi, un regista neozelandese che prima di Jojo ha diretto “Thor: Ragnarok” tratto dai fumetti Marvel.