James Webb, il nuovo telescopio spaziale 

Nel 1990 la NASA in collaborazione con l’ESA lanciò nell’orbita terrestre bassa  il telescopio spaziale più grande mai costruito dall’uomo,  il telescopio Hubble, che permise all’umanità di dare un’occhiata a quello che è chiamato universo “osservabile”, fino ai giorni nostri. L’agenzia spaziale americana ha però programmato, per il 2018, il lancio di un nuovo strumento ottico, atto alla rivelazione di onde infrarosse (immagine 1), per osservare la luce delle stelle più lontane e antiche, che sarà intitolato a James Webb, amministratore della NASA durante i programmi Gemini, Mercury e Apollo e fautore del centro di controllo del Johnson Space Center di Houston, Texas

Posizione:

Essendo un telescopio a infrarossi anche la minima fonte di calore influenzerebbe e falserebbe le misurazioni. Per questo motivo esso sarà collocato più lontano possibile dalla terra, dalla luna e dal sole: il punto di lagrange 2 (l2). I punti di lagrange sono delle posizioni, calcolate grazie alle formule di Newton, dove l’attrazione gravitazionale dei corpi celesti più influenti si annulla, permettendo al telescopio di mantenere la posizione durante le misurazioni (immagine 2).

Struttura:

Ciò che rende questo telescopio tanto preciso è l’accuratezza e l’attenzione per i dettegli degli sviluppatori e scienziati, a seguito del progetto. Esso è composto da tre componenti principali:

  • L’OTE (Optical Telescope Element), che comprende lo specchio primario, quello secondario e la struttura di supporto;
  • L’ISIM, ovvero la strumentazione scientifica;
  • La navicella che comprende lo spacecraft bus e lo scudo solare.

Questo telescopio è un riflettore di tipo cassegrain il cui specchio primario è formato da 18 elementi esagonali in berillio affiancati a nido d’ape. Ogni singolo specchio, delle dimensioni di 1,4 metri, è ricoperto da una lamina d’oro spessa 1000 angstrom (100 nanometri), che riflette meglio la luce infrarossa. La lamina d’oro è a sua volta ricoperta da un sottile strato di sio2 amorfo (vetro) per proteggerla da graffi in caso di manipolazione o piccole particelle. In fase di lancio lo specchio primario è compattato in 3 sezioni e stivato nel razzo; successivamente è dispiegato con micromotori. La tecnologia ottica del jwst consta di tre specchi anastigmatici. In questa configurazione, lo specchio primario è concavo, il secondario è convesso e funziona leggermente fuori asse; lo specchio terziario rimuove l’astigmatismo risultante e appiattisce anche il piano focale. Ciò consente anche un ampio campo di vista per produrre immagini senza aberrazioni ottiche. Questa delicata strumentazione è supportata da una struttura costituita da uno scheletrato di grafite composita, titanio e invar. L’ISIM comprende i sistemi di rilevazione del telescopio. Inoltre, esso fornisce energia elettrica, risorse di calcolo, raffreddamento e stabilità strutturale e contiene ben quattro strumenti scientifici e una macchina fotografica. Il nirspec (immagine a) è uno spettrografo operante nel vicino infrarosso ad un intervallo di lunghezza d’onda tra i 0,6 e i 5 micron. Lo strumento miri (immagine b) è invece formato da una telecamera, simile a quella di Hubble (a largo campo), ideali per il rilevamento di esopianeti attraverso il transito planetario. Infine, niriss (immagine c), è uno spettrografo nel vicino infrarosso specializzato nel rilevamento e caratterizzazione di esopianeti e spettroscopia per transiti planetari, operando, con tre telecamere, su lunghezze d’onda tra i 0,8 e i 5,0 micron. Il bus navicella (bus spacecraft) fornisce le funzioni di supporto necessarie per il funzionamento dell’osservatorio. Alloggia i seguenti sottosistemi:

  • Sistema di controllo dell’assetto comanda l’orientamento dell’osservatorio mantenendolo in un’orbita stabile, e fornisce un primo puntamento per l’area del cielo oggetto di studio. Controlla inoltre il momento attraverso dei giroscopi elettronici.
  • Sistema di gestione e comando dei dati è il cervello del bus navicella. Elabora la telemetria sollecitando lo strumento appropriato tra quelli del isim e dispone di una memoria a stato solido.
  • Sistema di propulsione contiene i serbatoi e i razzi che, quando richiesto dal controllo di assetto del sistema, vengono avviati per mantenere l’orbita.
  • Sistema di controllo termico mantiene stabile la temperatura di funzionamento del bus navicella.
  • Sistema di comunicazione
  • Sistema elettrico di alimentazione converte la luce dei pannelli solari in energia elettrica per azionare i sottosistemi del bus e la strumentazione scientifica del modulo ISIM. Lo schermo parasole (sunshield) consentirà al telescopio un raffreddamento passivo e una temperatura stabile inferiore a 50 kelvin (-223 °C). Il raffreddamento consente anche ai segmenti dello specchio primario di rimanere correttamente allineati quando cambia l’orientamento rispetto al sole. Il parasole consta di 5 strati di kapton, ognuno dei quali è separato da vuoto isolante che dissipa il calore mantenendo ogni strato più freddo del precedente.

Obiettivi scientifici

Perché un telescopio ad infrarossi?

In primo luogo, un telescopio spaziale risolve il maggiore deficit dei telescopi terrestri: la distorsione data dall’atmosfera, anche detta aberrazione ottica. Infatti, quando la luce delle stelle arriva alla terra la differenza di mezzo di propagazione, tra lo spazio cosmico e l’atmosfera, provoca una deviazione dell’onda, distorcendo l’immagine. La capacità risolutiva dei grandi telescopi terrestri è perciò notevolmente inferiore rispetto a quelli spaziali. Un osservatorio nello spazio non deve guardare attraverso chilometri di atmosfera, ed ha sempre prestazioni vicine al suo massimo teorico. Questo problema è oggi parzialmente risolto anche a terra da tecniche di ottica adattiva, che però sono complesse e non risolvono del tutto il problema. L’atmosfera inoltre assorbe una grande porzione dello spettro elettromagnetico, impedendo alla radiazione di molti oggetti celesti di raggiungerci. Molte osservazioni sono quindi semplicemente impossibili da terra, e occorre spostarsi fuori dall’atmosfera per poterle condurre. Infine, un telescopio spaziale non soffre dell’inquinamento luminoso causato dalla civilizzazione. In secondo luogo, le osservazioni a raggi infrarossi consentono lo studio di oggetti e di regioni dello spazio altrimenti oscurate dai gas e dalle polveri nello spettro visibile. Insieme alle nubi molecolari feconde di formazioni stellari, i dischi protoplanetari e pianeti delle dimensioni di giove (gioviani), che non raggiungono uno stato aggregativo tale da consentire una formazione stellare (giganti gassosi): oggetti relativamente freddi (rispetto alle temperature stellari) che emettono radiazioni prevalentemente nell’infrarosso e che sono quindi studiabili solo da un telescopio ad infrarossi. Webb sarà, infatti, in grado di vedere i cluster delle prime stelle formatesi in seguito al raffreddamento dell’idrogeno e alla costituzione degli elementi chimici più pesanti, necessari alla formazione dei pianeti e della vita. Inoltre, osserverà le fasi costitutive dell’universo, a seguito dell’esplosione successiva delle prime stelle in supernove. Jwst, analizzando le spettrografie delle singole stelle nelle regioni affollate, studierà la conformazione, il rigonfiamento dei dischi centrali delle galassie, le stelle più antiche, le analogie con la via lattea, la distribuzione della materia passata e presente e le relazioni di questa materia con la formazione stellare. Inoltre, Webb sarà fondamentale per lo studio dei nuovi esopianeti, scoperti da telescopi secondari come TESS (Transiting Exoplanet Survey Satellite, il telescopio spaziale della nasa che esaminerà le 200000 stelle più vicine in cerca di pianeti e suggerirà a jwst i più interessanti). Questi pianeti verranno e sono tuttora individuati tramite due tecniche fondamentali: il metodo dei transiti e il metodo delle velocità radiali. La prima tecnica consiste nel misurare attentamente la luminosità della stella ispezionata e, nel caso un esopianeta transitasse davanti alla stella, determinarne le dimensioni osservando e misurando, con particolare precisione, la differenza di luminosità relativa. La seconda è invece più complessa ma ci indica, approssimativamente, la massa dell’esopianeta. Quando intorno a una stella orbita un pianeta,  entrambi si muovono – in base alle leggi di Newton- girando intorno al centro di massa del sistema. Se il pianeta è sufficientemente massiccio, l’effetto è significativo e si può notare che la stella, periodicamente, si avvicina e si allontana. Dallo spettro della stella osservata si può dedurre la sua velocità radiale, ossia diretta lungo la nostra linea di vista: infatti per effetto doppler – analogo a quello che fa variare la frequenza della sirena di un’ambulanza- le righe spettrali della sua luce sono spostate verso il rosso, quando la stella si sta avvicinando, mentre sono spostate verso il blu quando essa si allontana. Con il jwst si potrà approfondire la teoria sulla reionizzazione, periodo fondamentale per la formazione dell’universo, come lo conosciamo oggi. Secondo il modello del big bang, nelle fasi iniziali l’universo è caldo e denso, al punto che le particelle fondamentali formano quella che viene definita una “zuppa cosmica”, ovvero un tutt’uno in cui particelle subatomiche e fotoni sono del tutto indistinguibili. I fotoni viaggiano venendo continuamente assorbiti e riemessi da altre particelle, togliendoci ogni possibilità di accedere a queste prime fasi dell’evoluzione dell’universo. Ci vogliono circa 380mila anni perché l’universo, espandendosi e raffreddandosi, permetta ai fotoni di muoversi e arrivare fino a noi, fornendoci la prima fotografia dell’universo che si possa sperare di ottenere: la radiazione cosmica di fondo, o cmb. In seguito, l’universo ripiomba in uno stato di oscurità dovuto al gas idrogeno appena formato dall’unione di protoni ed elettroni che assorbe e riemette i fotoni. Tutta questa materia inizia, per effetto della gravità, a raggrupparsi e a collassare su sé stessa formando le prime stelle. Secondo le teorie attuali, la radiazione emessa da queste prime stelle ha un’energia sufficiente per slegare l’elettrone dall’atomo di idrogeno – processo noto in chimica come ionizzazione. Ora il fotone ha possibilità di riprendere il proprio viaggio che termina negli obbiettivi dei nostri telescopi infrarossi. Ha inizio quella che viene chiamata l’epoca della re-ionizzazione. Circa un miliardo di anni dopo il big bang la reionizzazione è completa e l’età scura dell’universo può dirsi conclusa. L’obbiettivo principale di jwst è però l’osservare la luce delle stelle più antiche e lontane, appartenenti alle prime generazioni di stelle caratterizzate da una vita breve e dirette discendenti del big bang. Esse si formarono quando la materia, finalmente disaccoppiata dalle radiazioni del principio, iniziò a “condensarsi” andando a formare, grazie al lavoro della gravità, le prime stelle massicce composte di elementi leggerissimi come idrogeno e elio. La luce di quelle stelle primordiali iniziò il suo viaggio e, tuttora, giunge ai nostri occhi, senza però esser vista ed apprezzata. Ciò è dovuto ad una particolarità del nostro universo: esso è in espansione. E non è tutto! Secondo le ricerche di Edwin Hubble, il ritmo dell’espansione sta aumentando, a causa di una componente ignota, in cui è immerso il nostro universo: l’energia oscura. L’espandersi dello spazio-tempo provoca una variazione della lunghezza d’onda della radiazione, che da luce visibile diventa radiazione infrarossa. Questo fenomeno, a cui è soggetta ogni radiazione dell’universo, è detto spostamento verso il rosso ed è causato dell’effetto Jwst è, a tutti gli effetti, una macchina del tempo che porterà l’uomo all’origine del tempo.

Glossario:

  • In fisica, il termine cluster (aggregato, gruppo, ammasso) denota piccole particelle multiatomiche, ovvero formate da un aggregato di più atomi. Come regola generale, ogni particella compresa tra i 3 e i 3×107 atomi è considerata cluster. Anche le particelle formate da due soli atomi sono a volte considerate cluster. Il termine può riferirsi anche all’organizzazione di protoni e neutroni all’interno dei nuclei.

  • L’effetto doppler è un fenomeno fisico che consiste nel cambiamento, rispetto al valore originario, – della frequenza o della lunghezza d’onda percepita da un osservatore raggiunto da un’onda emessa da una sorgente che si trovi in movimento rispetto all’osservatore stesso.