Arte e Guerra

A cura di Sofia Ravetta, 5AL

The age of anxiety 

Il Novecento e’ un secolo peculiare: si sviluppa e si definisce in infinite direzioni, vede l’uomo all’apoteosi della sua potenza e contemporaneamente nella condizione di maggiore infamia; W. H. Auden lo definisce efficacemente “the age of anxiety”. 

Si tratta di un secolo scosso e segnato da avvenimenti inaspettati, brutali, incredibili e in-credibili, straordinari e terrificanti: nell’arco di 100 anni scarsi si susseguono due conflitti mondiali, quattro regimi totalitari, due crisi economiche globali, 2 rivoluzioni scientifiche e innumerevoli altri eventi. 

Nel 1912 Einstein pubblica la Teoria della Relativita’ generale, stravolgendo non solo il sistema oggettivo e universale della fisica di Newton, ma anche e soprattutto i concetti di spazio e di tempo universalmente riconosciuti; l’impatto sul mondo della scienza e’ irreversibile e folgorante, ma l’influenza che la relativita’ esercita sull’arte e’ forse ancora piu’ evidente: il Cubismo e il Futurismo operano uno stravolgimento nell’uso delle forme, della geometria, del punto di vista del pittore e dell’osservatore, andando a definire una dimensione in cui lo spazio non puo’ e non deve essere univoco e il tempo e’ espresso in velocita’. 

Nel 1917 Sigmund Freud pubblica “Introduzione alla psicoanalisi”, completando il processo di stravolgimento della realta’ gia’ iniziato dal fisico tedesco; se la realta’ non puo’ essere considerata come unica, allo stesso modo la psicoanalisi di Freud comporta inevitabilmente la distruzione del concetto di invidualita’ e la conseguente crisi dell’io Ottocentesco (che sia questo positivista o pessimista): l’inconscio umano non e’ unico, e’ inconsapevole e indomabile, oltre che dominato da forze contrastanti e spesso irrazionali. 

Le rivoluzioni operate da Freud e Einstein influenzano inevitabilmente la produzione artistica e letteraria del Novecento, ma e’ necessario considerare lo stesso contesto storico in cui vengono attuate come un fattore determinante della rivoluzione artistica avanguardistica: tra il 1914 e il 1918 gli eserciti al fronte si scontrano una guerra violenta, estenuante, sanguinosa; i soldati, costretti per mesi all’orrore delle trincee, dei gas letali, dei bombardamenti e dello scontro infinito, ritornano (se abbastanza fortunati) in una patria destinata alla crisi economica e sociale, distrutti dall’atrocita’ della guerra; nel ‘22 Benito Mussolini condanna l’Italia ad un decennio all’insegna della violenza, del sangue, della corruzione e del totalitarismo nemico della liberta’; nel ‘32, vinte le elezioni, Adolf Hitler dara’ inizio alla dittatura piu’ crudele della storia, mentre in Russia Stalin ha gia’ ucciso 10 milioni di uomini obbligandoli alla deportazione forzata nei campi di lavoro del sistema Gulag; il ‘39 segna la seconda ricaduta del genere umano all’infimo stato di animale da massacro: nei 6 anni della Seconda Guerra Mondiale moriranno circa 60 milioni di uomini (tra civili e soldati); mentre le democrazie europee tentano di difendersi dall’offensiva italo-tedesca, in Polonia e nelle zone settentrionali della Germania la perversione tedesca condanna 6 milioni di ebrei all’orrore dei campi di concentramento; le due bombe atomiche staunitensi sganciate sul Giappone nel ‘46 segnano l’inizio della Guerra Fredda, un periodo di tensione internazionale al limite del sostenibile.

Totalitarismo e resistenza 

Mentre i fatti storici si susseguono senza tregua, gli artisti europei e statunitensi tentano di esprimere lo stravolgimento fisico della societa’ mondiale attraverso le forme artistiche piu’ disparate: gia’ prima del termine del primo conflitto mondiale, gli avanguardisti cercano di riproporre su tela e su carta il disagio di un sistema internazionale dominato dalla tensione, dall’incertezza e dall’instabilita’. 

Il Modernismo e le Avanguardie storiche sono fenomeni compositi, spesso indefiniti e indefinibili perche’ dotati di qualita’ specifiche e singolari, difficilmente categorizzabili: analizzando il rapporto tra arte e Seconda Guerra Mondiale e’ pero’ possibile tentare una suddivisione tra artisti favorevoli alla guerra (e ai regimi totalitari ad essa collegati) e artisti ideologicamente, politicamente e socialmente avversi alla violenza dello scontro belligerante. 

Alcuni artisti si schierano apertamente contro i regimi totalitari e dipingono opere di forte critica personale e sociale: e’ il caso di Pablo Picasso e della sua famosissima Guernica, o di Salvador Dali’ che, come Picasso, racconta gli orrori della guerra civile spagnola. Anche Renato Guttuso, pittore e politico italiano, e’ un esponente della critica politico-artistica al totalitarismo: il suo obiettivo e’ quello di sviluppare in parallelo l’attività politica e un’idea di arte indipendente, svincolata dal potere del regime fascista. 

Nella sua Crocifissione del 1941 l’inquietudine e’ dominante. La scena oscilla e si propaga in una dimensione a-spaziale e a-temporale, nella quale passato e presente rievocano la storia condannandola per la sua ripetitività sofferente e atroce, meschina e oppressiva. La croce, non piu’ unica ma triplice, e’ trasversale e incompleta, il volto di Cristo riconoscibile ma non visibile; alla base del Crocifisso a piangere non e’ piu’ la Madonna, bensi’ Maddalena che, completamente nuda, abbraccia il corpo di Cristo. 

L’intera scena propone il divario tra forza e sottomissione che caratterizza l’epoca Moderna; i capi reclini dei vinti assegnano al quadro una potenza interpretativa di incredibile spessore simbolico: al candido Cristo si contrappone il rosso delle carni di un diavolo senza possibilita’ di redenzione, collocato su una croce voltata che suggerisce un’inevitabile tensione verso il basso. I due paesi sullo sfondo, collocati su piani diversi, richiamano

ipoteticamente l’Inferno e la citta’ di Dio, similmente ai cavalli in primo piano, i quali rappresentano la contrapposizione tra il male, sottomesso, e la purezza dell’equino bianco sdegnante dell’offerta del soldato. 

I pugni chiusi dei crocifissi sono il gesto della lotta, della resistenza, in un tempo buio in cui la dignità e la fede sono umiliate e il male ha il sopravvento. 

Tra gli artisti collaboratori della violenza totalitaria, i Futuristi sono sicuramente il gruppo più influente in Italia; fin dalla nascita, il movimento futurista ha tendenze spiccatamente politiche: “Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore…” dice nel 1909 Tommaso Marinetti, massimo esponente della corrente artistica, nel Manifesto del Futurismo. Si tratta di un gruppo di pittori dediti all’esaltazione di un vitalismo irrazionale, dell’interventismo e dell’irredentismo: le loro opere glorificano la violenza, la potenza, la velocità, la tecnologia (soprattutto se distruttrice), denigrando e ripudiando qualunque posizione pacifista o parlamentarista. 

Nel 1913, Marinetti, insieme a Umberto Boccioni, stila il Programma politico futurista: Mussolini stesso riconosce ai futuristi di aver manifestato efficacemente gli intenti rivoluzionari e interventisti da lui sostenuti. A questo proposito, Benedetto Croce ribadì che “per chi abbia il senso delle connessioni storiche, l’origine ideale del fascismo si ritrova nel futurismo”. 

“Carica di lancieri”, quadro realizzato nel 1915 da Umberto Boccioni, rappresenta efficacemente il paradiso del combattimento esaltato dai futuristi. Ogni elemento della scena è in movimento, rumoroso, slanciato; le schematiche sagome dei cavalli lanciati all’attacco sono caratterizzate da un evidente colore metallico: il colore dell’armatura da battaglia, ma anche delle canne dei fucili e dei carri armati. I cavalli galoppano alla carica e tutto intorno l’aria e la terra esplodono trascinate da essi, in un irrefrenabile, energico tripudio. 

Le lance sono delle vere e proprie linee di forza che guidano l’occhio dell’osservatore in una direzione di lettura insolita: la scena va analizzata da destra a sinistra, un’orientamento inconsueto che accresce la forza dirompente e incontrollabile di una cavalleria che prevale sulle armi da fuoco. 

Lo sfondo della scena è costituito da un collage di pagine di giornale: le gesta dei soldati al fronte, raccontate dalle parole degli articoli, riprendono ulteriormente il tema dell’esaltazione della guerra, presente in ogni aspetto del quadro.

La concezione eroica e idolatrice della guerra venne presto smentita dai macabri eventi del primo e del secondo conflitto mondiale; anche la passione di Boccioni per i cavalli si rivelerà, ironicamente, un interesse nefasto: l’artista morirà nel 1916 proprio cadendo da cavallo. 

Arte moderna arma della CIA nella guerra contro il comunismo 

L’Occidente esce dalla Seconda Guerra Mondiale irreparabilmente segnato: italiani e tedeschi sono ritenuti colpevoli dello scoppio del conflitto, gli Stati Uniti (grazie agli aiuti economici che prestano a tutte le maggiori potenze europee) hanno influenza determinante sulla politica internazionale e nazionale degli ex stati belligeranti, la Russia si afferma definitivamente come Urss comunista e anti-occidentale; sul mondo intero pesa il pericolo dell’utilizzo delle armi atomiche, gia’ sperimentato con le due esplosioni di Hiroshima e Nagasaki. 

A Berlino a partire dal 1961, una volta ritirati inglesi e francesi, un lungo sistema di recinzione muraria separa le aree di controllo sovietico e americano: la capitale tedesca rappresenta fisicamente e simbolicamente il sistema di tensioni internazionali destinato a dirigere lo sviluppo economico e sociale dell’Europa fino al 1989. Le due potenze nucleari si scontrano in una battaglia silenziosa, all’insegna dello spionaggio, della manipolazione e del ricatto. 

L’intelligence di entrambi i Paesi avvia una vera e propria opera di propaganda globale per guadagnare consenso, supporto, e quindi potenza: è la CIA in primo luogo a sfruttare il movimento di pittura espressionista astratta americana come arma nella guerra fredda. Nel contesto della guerra di propaganda con l’Urss il movimento espressionista astratto si presenta come prova della liberta’ intellettuale, della creativita’ e della potenza culturale degli USA: l’arte dell’Unione Sovietica, costretta dall’ideologia comunista, non può competere su scala mondiale. Per gli stessi motivi e con lo stesso scopo, viene favorita la diffusione della versione animata della Fattoria degli animali di Orwell, o della musica jazz. Come previsto dal piano segreto della CIA, artisti quali Jackson Pollock, Rothko, Arshile Gorky (apertamente comunisti, spesso anti-americani e talvolta simpatizzanti per l’Urss, derisi e poco apprezzati negli Stati Uniti) vengono promossi all’interno degli USA e in Europa: le loro opere vengono esposte al MoMA e al Whitney Museum, o ancora alla Biennale di Venezia o alla Tate di Londra; per giustificare agli artisti il capitale speso nei trasferimenti, vengono utilizzati i cognomi dei magnati miliardari americani, ma in realtà paga la CIA. 

Arshile Gorky, Liver Is the cock’s comb (Il fegato è la cresta del gallo), 1944, dettaglio

Dall’altra parte del mondo, la Russia investe ogni sua risorsa in una propaganda spietata e organizzatissima: rispetto agli Stati Uniti, il controllo sull’arte è necessariamente più invasivo e costrittivo. 

Ne è un esempio l’opera Sláva Rudé Armádĕ / Privet Krasnoi Armii [Glory to the Red Army / Welcome Red Army] di Karel Šourek (con collaborazione del fotografo Tibor Honty). L’arte viene totalmente asservita al messaggio propagandistico: una donna, in primo piano, si erge su un carro armato insieme a due giovani soldati e un ufficiale; come se il tema della guerra non fosse sufficientemente esplicito, sono riportati in sovraimpressione inni alle armi e al combattimento (strategicamente traslitterati dal cirillico all’alfabeto latino). 

Il secondo piano della scena è occupato da una gigantesca bandiera di colore rosso vivo: il colore del comunismo, dell’URSS, dell’anti-capitalismo; anche in questo caso, sono inseriti rimandi diretti al tema comunicativo: la falce e il martello, simboli della Rivoluzione d’Ottobre. 

Sullo sfondo, la sagoma del globo terrestre, ponderatamente orientato per mostrare i territori russi: l’equipaggio del carro armato è quindi una simbolica squadra impegnata nella corsa allo spazio, in cui l’URSS vuole prevalere sugli Stati Uniti (in realtà, sarà un americano il primo uomo a mettere piede sulla luna, nel 1969). 

Guerra sicaria dell’arte 

Arte e guerra hanno spesso avuto, nel corso della storia, una stretta relazione di collaborazione; molto più frequentemente, però, gli scontri armati, i bombardamenti, gli incendi hanno comportato non solo la perdita di vite umane, ma anche la distruzione di musei, collezioni private, opere pubbliche. 

I bombardamenti aerei del secondo conflitto mondiale determinarono la perdita di un elevato numero di opere artistiche; con l’avanzare del conflitto, architetti ed artisti si impegnarono nella protezione dei monumenti e dei dipinti di maggiore rilevanza storica e artistica: è il caso dell’Ultima Cena, custodita nel Museo del Cenacolo Vinciano a Milano.

 

Fu Gino Chierici, architetto toscano, a prevedere la protezione dell’affresco attraverso impalcature e sacchi di sabbia; l’operazione apparve di fondamentale importanza quando, il 15 e il 16 agosto 1943, i bombardamenti cancellarono buona parte delle opere murarie del refettorio di Santa Maria delle Grazie. L’azione di Chierici permise la messa in sicurezza dei beni conservati nel Palazzo Reale di Milano e presso la Certosa di Pavia, ma non fu sufficiente a salvare il Teatro alla Scala e la Pinacoteca di Brera dai danni ingenti causati dai bombardamenti. 

Teatro La Scala danneggiato dai bombardamenti Pinacoteca di Brera 

La distruzione di beni culturali per cause belliche e’ una problematica costante della storia, anche e soprattutto di quella moderna: il 27 febbraio 2001, in Afghanistan, l’armata talebana avvia una spedizione iconoclasta finalizzata a distruggere le due statue monumentali dei Buddha di Bamiyan; il 2 marzo la dinamite comincia a esplodere. All’esplosivo si

aggiungono colpi di armi da fuoco; vengono installate mine anticarro, lanciati razzi contro le due statue scolpite nella roccia. 

In meno di 14 giorni, dei Buddha non rimane che una sagoma appena riconoscibile: la folle brutalità dei talebani ha distrutto un patrimonio secolare (i Buddha risalgono infatti al VI secolo d.C.) della valle di Bamiyan, della storia dell’umanita’. 

Prima dell’assalto talebano, i Buddha di Bamiyan erano riconosciuti come i piu’ grandi esempi esistenti di statue stanti di Buddha: le due opere, dell’altezza di 35 e 38 metri, rappresentavano un’importante testimonianza della presenza dei buddhisti in Afghanistan in tempi antichi. La citta’ di Bamiyan era un antico snodo lungo le vie del commercio della seta: era quindi meta frequente nei viaggi mercantili o missionari buddhisti. 

Le due statue avevano scopi rituali: venivano venerate dai buddhisti attraverso una specifica pratica che prevede di camminare attorno a una reliquia della divinita’. Secondo la storica dell’arte Susan Huntington, le due statue rappresentano due specifiche manifestazioni del Buddha: quello più grande è il Buddha Vairochana, ovvero la rappresentazione del Buddha celeste, mentre quello più piccolo è il Buddha Shakyamuni, altro nome con cui è noto Gautama Siddhartha, vale a dire il Buddha storico, il monaco vissuto tra il 566 a.C. e il 486 a.C., fondatore della religione.

Dalla caduta del regime talebano, la comunità internazionale ha lottato per proteggere i resti dei Buddha di Bamiyan: l’estrema fragilita’ e suscettibilita’ all’erosione delle rocce da cui sono stati formati rendono la tutela indispensabile. Dal 2001, ovvero da quando le forze occidentali sono tornate in Afghanistan, sono stati messi in atto progetti per preservare l’esistente. Una di esse porta la firma italiana, quella della società Trevi S.p.A. Cesena: l’azienda si occupa del consolidamento delle nicchie a seguito di uno studio UNESCO del 2003 volto ad individuare le parti della parete rocciosa a maggior rischio di crollo.